Al salone dell’Episcopio di Matera è raffigurato un affresco su Ginosa
Lo splendido affresco del salone dell’Episcopio di Matera, conosciuto come il “Salone degli Stemmi” (realizzato da anonimo) affascina, stupisce, incanta, sorprende con le sue scene che si estendono sui 15 m di lunghezza e 7 m di larghezza della volta. Un salone aperto in occasione di eventi culturali.
Marcello Morelli (1886-1972) nel suo lavoro “Storia di Matera” attribuisce l’ affresco a Vito Antonio Conversi, il celebre pittore materano esponente del barocco defilato ed autore del dipinto “Annunciazione” esposto in Chiesa Madre a Ginosa, o a suo fratello Giovan Battista.
Oggi sappiamo che solo la produzione di Giovan Battista Conversi (1684- ?) può essere contemporanea ai lavori dell’affresco del salone per la firma apposta sulla tela “Visitazione della S.S. Vergine” nella chiesa dei Cappuccini di Montalbano Jonico datato 1714; mentre Vito Antonio era nato nel 1713 ed era attivo intorno al 1750.
Studiosi dell’affresco non escludono il coinvolgimento dello spagnolo Francesco Cassiano De Silva, apprezzatissimo cartografo, disegnatore ed incisore. A lui si devono le “Vedute in prospettiva” delle coste e dei centri urbani del regno di Napoli tra il XVII e XVIII sec.
La sua grande esperienza di vedutista e l’attestazione della sua presenza a Matera tra il 1700 e il 1702 avvalorano l’ipotesi della sua partecipazione alla realizzazione dell’affresco, dettandone le linee, o alla stesura dei disegni preparatori.
Sono proprio le vedute in prospettiva delle città e paesi che costituivano la Circoscrizione Ecclesiastica della Cattedra Arcivescovile di Acerenza e Matera a rendere un “unicum” questo affresco, che fu voluto dall’Arcivescovo Frate Antonio Maria Brancaccio, a eterna memoria, e terminato nel 1709.
La storia, la grandezza “costruita” e reale di una Arcidiocesi costituita da due città sedi arcivescovili metropolitane (Acerenza e Matera) che ammiriamo nei lati corti del registro superiore della volta si svela ai nostri occhi attraverso le vedute delle sue sei città vescovili (Potenza, Tricarico, Gravina, Altamura, Anglona Tursi, Venosa) che decorano il registro superiore della volta nei lati lunghi.
Sulla volta a padiglione, al centro, risplende l’ immagine della Beata Vergine Maria, venerata come la Madonna della Bruna, con il Bambino benedicente. Ai suoi lati i santi protettori delle città: San Canio per Acerenza e San Eustacchio per Matera. Nelle finte nicchie del registro inferiore ammiriamo i ritratti immaginari o verosimili dei Vescovi “veri e falsi” titolari della sede a partire dal 936 e terminare nel 1890 intervallati da 24 tondi floreali che raffigurano i paesi della diocesi. Questi sono distinti in 10 paesi del Basso o della Marina e 14 paesi dell’ Alto o della Montagna.
Tra i paesi del Basso sono raffigurati: Genusium, Latertia, Turris Maris (Metaponto).
Vediamo come appariva la “sconosciuta“ Genusium al visitatore agli inizi del 1700.
Dalle due uniche immagini antiche che possediamo, la Carta Rocca (1584) raffigura Ginosa disegnata a penna con inchiostro nero su carta bianca; mentre l’affresco del tondo floreale (risalente ai primi anni del 1700 poiché l’affresco è stato ultimato nel 1709) ci dà una veduta in prospettiva a colori.
Una verosimile veduta molto minuziosa.
Non sappiamo chi fosse il cartografo-disegnatore che ha sostato sulla strada per Laterza, che attraversava il Casale, per ammirarla e rappresentarla. Quella che ci ha consegnato è una immagine molto romantica del nostro paese, che sembra sorgere dall’acqua che scorre nell’alveo del torrente Lagnone per proiettarsi nel cielo, rischiarato da una calda luce solare.
Immediatamente emerge la figura del mastodontico castello con ponte a quattro arcate, raffigurato come il Castrum.
Alla sua sinistra, in basso, la chiesa di San Martino di Tours ed il tracciato dell’attuale via Matrice con la sottostante contrada del Salvatore divisa in due da una strada (corrispondente all’ attuale via Burrone) che scende verso l’ alveo della gravina e sembra attraversarla per congiungersi all’ altra sponda, dove si sviluppava la contrada di Sant’Antuono, che insieme alla contrada San Cataldo formavano il Casale.
Potrebbe essere stato così rappresentato l’ attraversamento, realizzato nel punto più basso della gravina, che i ginosini abitanti delle grotte percorrevano per raggiungere l’ altra parte del paese, salendo la strada e le scale che terminavano in corrispondenza del luogo in cui fu eretta l’ edicola votiva della “Madonna del Trascorso”, avvalorando così l’ipotesi del significato che lo vede derivare dal latino “trans cursus” e significa “al di là del corso” … delle acque della gravina, aggiungiamo noi.
Quell’edicola quindi potrebbe essere stata messa a protezione di coloro che percorrevano quell’attraversamento della gravina, poiché quando pioveva, era sommerso dalle tumultuose acque della piena. Così come era stato raffigurato San Cristoforo, il gigante santo traghettatore, protettore di coloro che dovevano guadare un corso d’ acqua, con il Bambino Gesù sulle spalle, sulla facciata principale della chiesa di San Martino di Tours.
Infatti in corrispondenza della sua omonima strada c’ era un altro attraversamento in gravina. Secondo una leggenda, chi vedeva l’ immagine di San Cristoforo, quel giorno non sarebbe morto ! Quindi era di buon auspicio per i ginosini che si aggrappavano al sistema di corde stese a collegamento delle due sponde dell’ alveo della gravina (quando pioveva ed in caso di piccole piene) vedere quella gigantesca immagine mentre si spostavano dalla contrada di San Cataldo a quella di San Martino.
Al Centro del tondo floreale è raffigurata la contrada della Porta (cosiddetta per la presenza di un arco su via Matrice) che si riteneva fosse l’ antica porta del paese, che Tuseo dice ubicata dove ora termina la scala che passa sotto il ponte del castello, di fronte al Casale.
Isolata ed immersa in un grande spazio aperto, Piazza Vecchia, ci appare la “nuova chiesetta di Sant’ Antonio” (come afferma Cisternino nella “Descrizione Antica de Genosa” per Donna Geronima Doria del 1630); al di sopra è raffigurata la contrada Sant’ Agostino (caseggiato rossiccio).
Sulla linea dell’orizzonte spicca una massiccia costruzione con portici affiancata da una torre presumibilmente a tre piani circondato da spazi verdi. Potrebbe essere il palazzo del Sedile?
Non ci è pervenuta nessuna descrizione di questo edifico. Sappiamo che il Sedile era la sede del Comune o Università ed era anche la sede degli uffici delle tasse e delle carceri con annessa gogna.
Il dottor Angelo Ricciardi in “Ginosa-Nella storia e nelle cronache” scrive:
“Al centro del vasto cortile del Sedile v’era la gogna, un grosso palo, al quale con collare da animali da tiro era legato il reo esposto alla derisione dei cittadini”.
Per le immaginabili vicende che lì si sviluppavano e con l’ avallo delle autorità, il Sedile fu fatto demolire nel 1819 su richiesta dei Signori Tarantini-Miani-Giancipoli-Sannelli-Strada che a loro spese fecero costruire la Torre dell’Orologio tra gennaio e maggio 1820.
In alto a destra, nel tondo, l’ex convento di Santa Parasceve (passato poi agli Agostiniani) e Santa Maria del Piano.
Si ammirano inoltre disseminate nell’abitato alcune case palazziate. Erano case con un bel portale d’ingresso il cui piano terra era adibito a deposito e stalla ed il primo piano, con varie stanze, costituiva la residenza.
Immagini che fanno sognare ed in parte appagano la nostra “curiosità”.
In un altro tondo floreale è raffigurato Latertia con il suo palazzo Marchesale, la chiesa di San Lorenzo e la fontana medioevale …
I nostri cugini laertini sono più fortunati di noi, oltre al dipinto materano possiedono vedute del loro paese che furono realizzate da: Rocca, Pacichelli, De Simone.
Ginosa e Laterza dal 8 settembre 1976 fanno parte della Diocesi di Castellaneta, dopo essere appartenute per secoli all’ Arcidiocesi di Matera.
Sorprendente la rappresentazione di Turris Maris, ovvero Metaponto, rappresentato da un castello-torre d’ avvistamento (i cui resti si ammirano ancora oggi tra la linea di costa e la ferrovia) nell’antico porto di Metaponto e costruito in prossimità della foce del Basento. Il mare formava una insenatura rotondeggiante adatta all’ormeggio delle navi. Successivamente dall’insenatura si originò il lago detto di Santa Pelagina che poi divenne palude. Il nome Metaponto fu in uso fino al XI sec. quando i Benedettini cominciarono a chiamarla “Civitas Sanctae Trinitatis”.
Con la costruzione del castello-torre, i Normanni la chiamarono Turris Maris. Il nome dell’antica Metaponto fu ripreso nel 1886. Una immagine fortemente evocativa delle torri d’avvistamento costruite nel nostro territorio per la difesa dalle incursioni turche.
Autrice, Antonietta Buonora