Alla riscoperta del patrimonio artistico dell’Oratorio dell’Addolorata Rettoria di San Giuseppe a Ginosa
Alla riscoperta del patrimonio artistico dell’Oratorio dell’Addolorata
(Rettoria di S. Giuseppe)
Il restauro dei dipinti absidali: <<una pagina di storia…>>
(S.E. Mons. C. Maniago)
“Questo mondo nel quale viviamo ho bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza come la verità e ciò che infonde gioia al cuore dell’uomini, e quel frutto prezioso, che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione!”
(Paolo VI, Messaggio agli Artisti, n.4, 8 dicembre 1965)
<<È una pagina di storia quella che viene scritto oggi affermato S. E. Mons. Claudio Maniago, nel benedire i restauri (7 febbraio 2019). Può sembrar strano che dei restauri si configurino come una pagina di storia, ma è così, perché nelle confraternite quella che regge tutto e dá ragione è proprio la storia; una storia, che nasce dalla fede e dalla devozione producendo frutti, tre quali anche la cura di una chiesa. È una pagina di storia che vede ridonare splendore a questa chiesa. Una pagina di storia, perché la confraternita e tutta la comunità inosina ritrova una bellezza, quella di un luogo di culto che dice come dovrebbe essere bella anche la vita spirituale, che una confraternita dovrebbe testimoniare e alimentare. Una bellezza di vita, che deve tradursi in impegno quotidiano di testimonianza del Vangelo di testimonianza del signore. Benedire questi restauri significa anche augurare a una confraternita ed a coloro che ne fanno parte di raccogliere un testimone, che viene da coloro che li hanno preceduti, pronti a consegnarlo al momento opportuno. Un testimone che dica nella semplicità e nella quotidianità la loro fede in Gesù Cristo.>>
Il restauro dei dipinti dell’abside, effettuato dalla ditta schiavone, ci consente anche di ricordare un ginosino illustre, Vito Malvani (Ginosa 1909-1986), il quale ha lasciato un segno profondo nella nostra città come pittore di opere a tema sacro.
Dipingeva quasi sempre copie di opere famose, con una grande libertà operativa, poiché la committenza non soleva indicare i soggetti da eseguire.
Tra i suoi lavori ricordiamo la trinità, realizzata per la piccola cappella dello spirito Santo 1938; i dipinti della volta, della calotta apsidale e delle campate della chiesa matrice 1941 asportati durante i recenti restauri; nel 1941 in Laterza, nella chiesa di Santa Maria la grande la tela dei 12 apostoli, che completa l’affresco dell’assunta, deteriorato e la parte inferiore; nel 1944, l’abside della nuova chiesa parrocchiale dedicata ai Santi Medici (San Martino V.), dominata dall’Agnello di Dio, posto sulla sommità di una verdeggiante collina, solcata da 7 ruscelli, ossia i 7 sacramenti; ruscelli, ai quali si abbeverava un gregge, dipinto seguendo le regole della prospettiva, che consentendo la percezione della tridimensionalità conferiva gradevolezza estetica all’opera. Opera, purtroppo, da tempo cancellata. Risale al 1951 il ciclo pittorico oggetto della nostra attenzione ed all’anno successivo le decorazioni della bella chiesetta dell’azienda Orsanese (proprietà Dell’Osso) demolita alcuni anni fa.
Quello dell’Orsanese è stato l’ultimo lavoro importante di Vito Malvani, prima dell’apertura di un negozio di colori, parati e vernici. Non poteva più salire sulle impalcature. <<Non aveva più la necessaria agilità>> spiega suo figlio Ninni <<era caduto da 11 m, per il crollo dell’impalcatura linea installata in chiesa madre. E, da 7 m, nella parrocchia di San Martino vescovo; da tre metri>> mentre decorava la citata cappella rurale.
Un plauso, dunque, alla confraternita di San Giuseppe, per aver voluto preservare e restaurare i dipinti murali, certamente non antichi, ma pur sempre ascrivibili al patrimonio collettivo; patrimonio, che il dinamismo del tempo ingloberà nella tradizione. Una tradizione artistica, in questo caso, che si fa memoria storica ed identità spirituale: le radici del sacro attraverso la bellezza dell’arte.
Dunque, nel 1951 Vito Malvani in preziosì l’abside con “La Sacra Famiglia, “Lo Sposalizio della Vergine, e “L’adorazione”.
Lo “Sposalizio della Vergine” ripropone la parte centrale dell’articolato “Sposalizio della Vergine” realizzato da Raffaello Sanzio nel 1504, quasi coevo a quello del perugino; il brano pittorico di Vito Malvani riprende gli sposi ed il sacerdote, il quale tenendo teneramente le loro mani, celebra una funzione. Maria secondo la simbologia tradizionale, è vestito di rosso e azzurro; un velo leggero, che copre il capo ed avvolge la spalla destra, nel creare una sensazione di movimento, interrompe la modestia dei panneggi.
Giuseppe, raffigurato in giovane età, con abiti grigio lilla ed ocra, regge il giglio, segno di purezza, che nel tempo ha sostituito il bastone fiorito, desunto dai Vangeli apocrifi. In essi si narra infatti che, quando Maria giunse in età di matrimonio, fu dato ai pretendenti un ramo secco: un segno del Cielo avrebbe dettato la selezione. Fiorì un unico ramo: quello di Giuseppe, Chiara allusione alla verga di Aronne ed alla potenza di Dio.
Ho destra dell’altare maggiore Malvani volle invece riprodurre “L’adorazione del Bambino” realizzata tra il 1619 ed il 1620 dal pittore olandese Gerrit Van Honthorst (Gherardo Notti).
Gesù bambino e adagiato su un panno bianco, che poggia sulla mangiatoia, adorato da due angeli, da Maria e da San Giuseppe, appena retrostante. È uno splendido notturno, che emana un’atmosfera ovattata, un atmosfera di pace, che pervade il cuore e che solo la notte delle notti sa trasmettere. Dal bambino si sprigiona una luce, che illumina i volti. E, Gesù <<luce del mondo>> (G.v. 8,12), <<luce vera>> (G.v. 1,9): Questo sembra il messaggio trasmesso dall’opera, che avevi di colori esprime la penetrante logica dell’incarnazione. L’abside è dominata dalla “Sacra Famiglia”, realizzata devo azione di Carmelo Bellacicco. Il pittore ginosino volle proporre un celebre dipinto di Bartolomé Esteban Murello, pittore spagnolo del XVII secolo.
L’opera di grande portata teologica, riprende “La Sacra Famiglia” di casa Petroso, meglio conosciuto come “Le due Trinità” 1675-1682.
Nel trarre origine del passo del Vangelo di Luca (2,49-51) – “Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio? […]
Parti dunque con loro e fece ritorno a Nazareth Murillo volle porre l’attenzione sulle due dimensioni di Cristo, quella divina e quella umana. Il piccolo Gesù, posto su un piedistallo al centro della composizione, diventa punto di convergenza dello schermo orizzontale e verticale. Gesù vero Dio, seconda persona della SS.ma Trinità, È allineato al padre e dalla colomba dello spirito Santo. Gesù, vero uomo, e con Maria e Giuseppe il centro della Famiglia umana, ma emerge al di sopra delle loro figure; famiglia che, nello spirito della controriforma, veniva percepita come trinità terrena. Maria guarda Gesù e dà la mano protesa in avanti: lei ed il suo sposo, con orgoglio, mostrano il bambino al popolo di Dio. Giuseppe, con lo sguardo rivolto verso di noi e rimane bastoni con il giglio, è il custode di Gesù. Ha detto Papa Francesco che <<nei Vangeli, San Giuseppe appare come un Uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza.>>
Non dobbiamo avere timore della bontà e della tenerezza…
Autrice: Maria Carmela Bonelli
Opuscolo Feste San Giuseppe e Santa Maria Dattoli