Percorro con il tempo
l’antica terra mia,
da quando fu dimora
dell’uomo primitivo.
In antri naturali,
in grotte ben scavate
si rifugiò d’istinto
quel migrator errante.
Su’ ripidi pendii
d’una gravina fonda
difese dell’insidie
la propria sussistenza.
Fu scopritore del fuoco, levigatori di pietre,
s’emancipò con culti,
metalli, campi colti.
L’impulso d’avventura
portò in questa terra
Pelasgi e Achei
e Popoli del Mare.
Si fusero d’incanto
virtù, valori, sfide;
fiorì con la concordia
la civiltà ellena.
Di Roma fu amica,
nemica di barbarie,
respinse con fierezza
viltà e tirannie.
In cripte bizantine
con la pietà contenne
la mal desolazione
dell’imperial rovina.
Normanni, Svevi, Franchi
regnarono sovrani:
l’antica terra mia
sognò altri destini.
L’ispanico dominio
impose duro giogo:
subì l’aspro regime,
ma non fu resa schiava.
Non si macchio d’infamia
neppur con i Borboni:
non barattò diritti,
onore e libertà.
Anch’essa fu Comune
nel regno dell’Italia,
al vento del progresso
alzò una bandiera.
Seguì la patria sorte,
non disertò le guerre:
ancor piange la morte
di tanti figli suoi.
È quella di Ginosa
l’antica terra mia,
la Storia ne disvela
l’intrepido valore.
Dal libro “Canti liberi – Raccolta di Poesie”
Autore: Pietro Tamburrano
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