La Gravina – formazione geologica
L’intero territorio è costituito prevalentemente da rocce calcaree e calcareo-dolomitiche del Cretaceo, su cui si estendono nel periodo Plio-pleistocene, a seguito di ingressioni marine, strati di sedimenti marini e alluvionali che cementati fra loro originano le calcareniti di Gravina.
Tale roccia tenera è comunemente chiamata “tufo” per le sue doti da utilizzare come materiale da costruzione, in Puglia se ne trovano di diversi tipi con caratteristiche e colore differente. Le terre emerse delle Murge (dal termine latino murex – muricis che significa pietra aguzza, roccia) sono interessate dalla furia delle acque meteoriche e marine dovute al clima generalmente non ancora stabile, che erodono il suolo già friabile e provocano profonde incisioni, talvolta delle vere e proprie spaccature e depressioni.
Le acque penetrano negli strati più profondi del blocco roccioso, in una struttura poco densa per la presenza di cavità distribuite nel suo volume e raggiunge il mare sui solchi dette “lame”, sui quali scaricano anche le acque di superficie formando grossi fiumi.
Durante l’impetuoso percorso dell’acqua, questi lunghi paleo-fiumi trasportano ogni cosa dilavando gli strati della superficie mentre nelle profonde fratture del terreno, l’azione meccanica erosiva dell’acqua originerà le “gravine”, insenature profonde con pareti spesso ripide e con il fondo generalmente piatto.
Non mi soffermo più di tanto su un argomento così complesso ma certamente la presenza di rocce sedimentarie in ambiente marino ha favorito nell’ultimo periodo dell’era del Mesozoico la presenza di molti organismi viventi, oggi giunti a noi sotto forma di fossili di conchiglie o molluschi fissati sulla roccia.
Nel tempo il clima cambiò, stabilizzandosi e le acque si ritirarono, così il paesaggio carsico con le sue fratture, le sue incisioni e le sue cavità diventò meta di particolari presenze faunistiche favorite anche da una rigogliosa vegetazione.
Il riferimento bibliografico allude alla “Gravina di Ginosa” di cui oggi apro nel blog del portale di “Visit Ginosa & Marina” il primo di una serie di appuntamenti con articoli che riguardano lo sviluppo di due grandi borghi antichi della città: l’abitazione in grotta con urbanizzazioni, cultura, spiritualità, magia e il borgo antico, sul pianoro sovrastante con la presenza del castello, chiese e palazzi dove la cultura religiosa si sposò, se pur in un breve periodo, con gli ordini cavallereschi.
Le notizie scritte sono utili ai fini della promozione turistica e alla conoscenza dei valori storici, culturali, tradizionali ed enogastronomici della città.
Ovviamente non mancheranno riferimenti alle diverse aree naturali e paesaggistiche sia del paese che della sua marina perché se si vuole conoscere la cultura più genuina di questi luoghi occorre abbandonare gli itinerari privilegiati e lasciarsi accompagnare dai propri sensi.
Grazie
La nascita del villaggio rupestre
Lontana dalle grandi vie di comunicazioni, percorse dagli eserciti medievali e comunque interessata dalle vicende di guerre e devastazioni, la particolare conformazione della gravina, col il suo habitat naturale, era il luogo ideale per insediarsi e tessere un nuovo sviluppo urbano che nel tempo sarà stato più esteso e più complesso.
Sui greppi rocciosi, le grotte naturali, già abitate nel paleolitico e successivamente utilizzate sia nel periodo greco che romano, erano disposte sui diversi livelli ed esaltate dalle diverse striature colorate del bianco, del rosa, del grigio e del nero della pietra arenaria, la quale, tenera e friabile, permetteva di essere lavorata, intagliata ed anche dipinta seguendo uno schema artistico religioso tipicamente Bizantino.
Alle prime chiese rurali di fondazione laicale (X secolo) seguiranno le prime abitazioni civili e le chiese-cripte e cripte basilicali di ispirazione benedettina greco-latina.
Grazie alla presenza dei monaci e al loro adattamento in questi luoghi, si registrò una buona crescita demografica, culturale, ed economica; insomma lo sviluppo di un borgo a sè nel borgo medievale della città al cui vertice (come scala sociale) capeggiava la torre normanna fortificata quale simbolo di potere e controllo da parte del feudatario nonchè centro politico e amministrativo del paese e del suo territorio. L’ambiente rurale si trasformava con la bonifica dei terreni e la messa a coltura di alberi da frutto, mandorli, ulivi, vigneti, fichi, entro muretti in pietra (ancora oggi presenti ma più radi) ma anche giardini, orti e campi coltivati.
E non solo, il paesaggio naturale offriva anche la possibilità di raccogliere specie vegetali di particolare interesse farmacologico e culinario.
Infatti i monaci, custodi della scienza medica, conoscevano le proprietà di diverse piantine campestri come ad esempio (ne cito qualcuna): l’aglio rosso con proprietà antibatteriche; la borragine come antinfiammatorio; il cisto rosso come calmante ed ancora il papavero da oppio come potente analgesico, saponaria officinalis, ginestrella, vitalba, ecc. Altre piante invece venivano raccolte per la cucina come il cipollotto col fiocco chiamato nel volgo “iambasciule”.
Non ho certezza che queste piante fossero presenti anche nel XII secolo, ma l’aglio rosso ha catturato la mia attenzione per la bellissima esplosione di fiori raggruppati e non solo. Le piante raccolte servivano alla preparazione di unguenti, sciroppi, elisir… e venivano lavate, essiccate e conservate in un’antica grotta su nicchie scavate nella roccia – “l’antica farmacia rupestre” – utilizzata dai monaci basiliani per dare carità e cure ai bisognosi ed ammalati.
Nella civiltà rurale inoltre, la cucina dei poveri si differenziava dai ricchi, l’uso di carne e selvaggina era riservata ai nobili e signori mentre cereali e frumento con verdure e ortaggi erano riservati ai contadini. Non mancavano però in particolari occasioni anche l’uso di carne di allevamento, da cortile e il pesce. Le pietanze venivano accompagnate dal vino (di sapore diverso rispetto ad oggi) e talvolta da bevande ottenute dalla fermentazione della frutta. L’attività principale era agro-pastorale, e questo contribuiva allo sviluppo del mercato e del commercio.
Antonella Moscarelli
Bibliografia di riferimento:
(P. Parenzan, V. Valentini, C.D. Fonseca).