Chi sono i Santi Cosma e Damiano?
La conoscenza dei Santi Cosma e Damiano sarebbe troppo vaga, superficiale, se ci limitassimo a vedere in loro soltanto dei distributori di miracoli, da considerare solo in caso di necessità. Il carattere inconfondibile, decisivo, della santità è l’imitazione di Gesù Cristo, è la pratica in grado eroico delle virtù della Fede, Speranza e Carità. Queste virtù sono portate, nel Martire, al massimo delle capacità umane, perché per amor di Dio disprezza la propria vita. Vincendo l’istinto più radicato nell’uomo: l’istinto della conservazione; «brucia» la vita presente, ancorato alla promessa di Cristo di una felicità eterna; ama Dio più di tutti i suoi cari, più di se stesso, donando il proprio sangue in un supremo gesto di amore. Ammirare i santi è troppo poco. L’unico omaggio veramente gradito ad Essi è l’imitazione delle loro virtù, mediante le quali rivivono in
noi e prolungano nei secoli la gloria imperitura elargita da Dio, ben diversa da quella effimera che il mondo concede ai suoi idoli del momento. Dobbiamo ascoltare il messaggio che i Martiri ci rivolgono continuamente dalla loro tomba, la quale è diventata, attraverso i secoli
«…mistico altar palladio sacro, fatidica possa, cuore nei secoli messo a pulsar»
(A. Calcara: Le Catacombe).
Mettiamo il nostro cuore accanto a quello dei Santi Cosma e Damiano, e sentiremo il loro palpito ardente, con cui ci esortano ad avere cura in modo preminente della salvezza dell’anima. Chiediamo pure liberamente la salute del corpo, la guarigione dalle malattie, con immensa fiducia, perché i santi sono «quantum de sua felicitate securi, tantum de nostra salute solleciti» (quanto sono certi della loro felicita, tanto sono solleciti della salute). Ma chiediamo soprattutto la guarigione dalle nostre colpe, dai nostri difetti.
Ma una grazia assai più importante dobbiamo chiedere ai Santi Cosma e Damiano, esempio eccezionale di concordia, di fraternità, in tutte le manifestazioni della loro vita, «un cuor solo ed un’anima sola». Essi sono simbolo della fraternità spirituale che unisce l’Oriente e l’Occidente cristiano: fratelli gemelli, figli della stessa unica Madre, la
Chiesa di Cristo. È una pena struggente per i santi Cosma e Damiano il vedere che non ancora si è attuato il miracolo di un’unica Chiesa sotto un solo Pastore, secondo il precetto testamentario di Cristo, e l’ardente voto dei Sommi Pontefici.
Questi due santi costituiscono il ponte ideale tra la Chiesa Orientale, in cui nacquero, vissero, e versarono il proprio sangue, e la Chiesa Latina, che custodisce le loro ossa, sede del Vicario di Cristo, la cui linfa vitale irrora, vivifica, santifica i cristiani. La santità, il patrocinio dei Santi Cosma e Damiano sono patrimonio comune da Oriente a Occidente. Le città più vicine all’Oriente, come Bari, Brindisi, Lecce, sono le prime a cogliere i frutti di questa ricchezza spirituale. Ma tutto il mondo è chiamato a condividere questo sacro patrimonio. A condizione, però, che questa divina linfa vitale fluisca dal loro cuore nei nostri cuori, e faccia rivivere in noi lo stesso genuino spirito fraterno dei Santi Cosma e Damiano.
Allora soltanto si realizzerà una perfetta unione quando la santità, vissuta fino alle sue supreme altezze sarà l’argomento assolutamente convincente, irresistibile, per una piena, definitiva Comunione. Il mio sogno è che qui, sulla tomba dei santi Cosma e Damiano, centro più venerato del loro culto, si possa un giorno vedere stretti in un sincero abbraccio 1’Oriente e l’Occidente Cristiano. Nell’attesa di questo auspicato evento, oltre gli obblighi fondamentali di ogni cristiano i Comandamenti di Dio, promettiamo di scegliere, tra le varie forme di devozione, ciò che meglio interpreta la volontà dei santi Cosma e Damiano: visitare e assistere gli infermi. Fu 1’opera che stette più a cuore ai nostri santi Patroni.
TOPOGRAFIA DEI LUOGHI DI CULTO A GINOSA
L’unica chiesa identificabile in Ginosa, era la chiesa Matrice, originariamente dedicata al culto di S. Martino e insieme parrocchia del paese, abbandonata nel 1812 per trasferire le funzioni religiose nella chiesa di S. Agostino, oggi chiesa dei SS. Medici. Alle spalle della chiesa di S. Agostino vi era la chiesa di S. Croce, molto piccola, di proprietà della Congregazione della Santa Croce e Addolorata (ossia dei Santi Medici). Attorno alla chiesa vi era Largo SS. Medici, molto più ampio di quello che vediamo oggi, mentre sul lato di via Palestro aveva sede la ruota dei proietti, dove venivano abbandonati i figli illegittimi. La piazza dei Cappuccini, insieme alle fondamenta della chiesa mai portata a termine, era lì dove oggi è situata piazza Marconi col Municipio, mentre quest’ultimo aveva sede nell’ex convento agostiniano, proprio accanto alla chiesa di Sant’Agostino. La questione della nuova chiesa Parrocchiale era stata per decenni fonte di scandalo e di malumore per la comunità ginosina. Checché ne dica il segretario comunale Mazzarella, redattore della delibera, la chiesa di Sant’Agostino si era dimostrata fin dall’inizio insufficiente per il fabbisogno dei cattolici ginosini. Angelo Miani, in una sua opera del 1878, già lamentava come i cittadini di Ginosa fossero costretti a seguire le funzioni religiose in una chiesa gremita, senza avere neanche lo spazio per stare in piedi. Come se non bastasse, la costruzione della nuova chiesa parrocchiale, progettata, come abbiamo detto, fin dal 1853, era andata incontro ad una quantità di disastri. Primo fra tutti, l’incendio che nel 1857 aveva devastato la vecchia chiesa matrice. Non si scoprono mai le cause di quel rogo, e la dinamica fu così sospetta che si diffuse presto la voce che fosse stato lo stesso parroco ad appiccare il fuoco, per accelerare i tempi della costruzione della chiesa nuova. Dato inizio all’opera, si assistette a un susseguirsi di ritardi, ai quali si aggiunse -ciliegina sulla torta- la constatazione che si stava edificando una costruzione che sarebbe costata quattro volte e mezzo la somma disponibile, peraltro ottenuta vessando i cittadini. Agli intrighi e all’inefficienza si sarebbe presto aggiunta la tragedia: un muratore perdeva la vita, sepolto da una frana, durante lo scavo delle fondamenta della chiesa. Il caso aveva voluto che fosse lo stesso muratore che nel 1828 aveva demolito la chiesa del Carmine sfidando la superstizione dei suoi colleghi.
Ovviamente si pensò subito ad una vendetta divina, e fu 1’ennesima conferma, ammesso che ce ne fosse ancora bisogno, che quella chiesa stava sorgendo sotto una cattiva stella. Infatti della chiesa non si fecero che le fondamenta e non un muro venne innalzato, né allora, né mai. II cantiere venne sepolto, e così rimase per ben cinquantaquattro anni, prima che l’Amministrazione Comunale prendesse una decisione. L’occasione per uscire dalla situazione di stallo fu offerta appunto da don Michele Inglese. Nell’atto del 1° agosto 1916 Antignano concesse il suolo “in via di massima”, riservandosi di esaminare la pianta del suolo che la parrocchia avrebbe dovuto presentare insieme alla domanda. La risposta della parrocchia non si fece attendere: in due settimane la pratica venne inviata, e giunse, il 19 ottobre 1916, l’approvazione della giunta provinciale. Don Michele convocò immediatamente una riunione con la congrega e riuscì a far accettare l’ampliamento. Va tuttavia detto che Inglese non aveva scelto un periodo propizio, per intraprendere la sua opera. Nel 1916 1’Italia era in piena guerra mondiale, e sicuramente c’erano problemi ben più urgenti che la costruzione della nuova chiesa parrocchiale. Infatti il progetto si arenò.
Unica testimonianza della sua esistenza, nell’arco di alcuni anni, le ricevute delle somme donate per la chiesa dallo stesso Inglese. Le trattative rischiarono di concludersi con un nulla di fatto quando, nel 1920 l’allora sindaco Rodolfo Sangiorgio, scrisse all’Arcivescovo Pecci, manifestando il desiderio, espresso da alcuni cittadini, di istituire a Ginosa un convento di monaci, con annessa parrocchia per il culto. Come si evince da una lettera di Mons. Inglese, quest’ultimo non fu particolarmente entusiasta dell’iniziativa, poiché nutriva il timore che ciò potesse privare la sua parrocchia dei pubblici contributi che
allora riceveva dal Comune;
non va peraltro trascurato che un simile evento non avrebbe certo favorito la costruzione della nuova chiesa di S. Martino.
In ogni modo le trattative per l’istituzione del convento non andarono avanti, e Inglese poté finalmente riprendere, nel 1924, i lavori per la costruzione della sua nuova parrocchia. In una lettera del 16 novembre al priore della Congregazione della SS. Croce e dell’Addolorata (ossia dei SS. Medici) Inglese esorta a riprendere la procedura, facendo riferimento alla deliberazione presa dalla congrega nel già lontano 1916; avevano allora deciso di costituire un comitato per la costruzione della chiesa parrocchiale del quale, oltre al parroco e ad alcuni cittadini, sarebbero stati membri dieci confratelli, a tutela degli interessi della congrega. A due giorni dalla lettera di Inglese il priore, Giacomo Giannini, nominò una serie di confratelli. In realtà tanta solerzia risultò superflua, ma quanto la cessione definitiva del largo Ss. Medici da parte del Comune giunse soltanto nel 1926. Con la cessione del suolo pubblico vennero ripresi i lavori. Venne costituito un “Comitato per la erigente Chiesa in Ginosa”, con un proprio statuto e con un esecutivo composto dal Sindaco, dall’Arciprete, dal Priore e da altri membri. Venne inoltre richiesto il progetto dell’opera e vennero assegnati i lavori per le fondamenta al cementista. Il progetto originario prevedeva anche la demolizione e la ricostruzione ex novo della chiesa di S. Angelo.
SI SCAVANO LE FONDAMENTA
Tra il 1927 e il1928 si dava dunque avvio agli scavi. Tutto sembrava procedere nel migliore dei modi, con una perfetta intesa tra il parroco e la confraternita. In realtà non era così. Il parroco e la confraternita erano mossi da interessi diversi, e talvolta contrapposti. In ogni modo, tra i membri della confraternita e il parroco don Michele non correvano certo sentimenti di amicizia fraterna. Lo dimostra un documento del 1928, nel quale la confraternita detta i punti di una convenzione che tuteli i loro diritti all’interno della nuova chiesa. Inutile dire che la convenzione è redatta a tutto vantaggio della confraternita; oltre a ciò, il tono usato ogni volta che si fa riferimento al parroco non è esattamente quello dettato da un senso di devozione.
Susseguirono numerose lettere all’Arcivescovo, da parte del curato e della Congregazione, e dopo ben sette anni e mezzo, tra accordi e disaccordi, il delegato Arcivescovile PAFUNDI chiede al parroco, di esibire con urgenza i titoli di proprietà dell’antica cappella dove sarebbe nata la nuova chiesa.
Oltre ad insanabile rancore, vi doveva essere tra il parroco e i confratelli, una certa incapacità di comunicare, se nello stesso giorno, quest’ultimi spedirono a Pecci una lettera nella quale riportano il documento richiesto, e di seguito citato per intero:
In risposta alla nota di codesta Rev. ma Curia circa la data di costruzione della chiesa della SS. Croce e Addolorata, si stralcia quanto segue dall’atto di domanda dell’assenso regio per l’approvazione ed il riconoscimento della Confraternita, rogato dal R. Notaio Felice Modesto Strada e concesso in “Neapoli ex Regio Palatio die quinta mensis maii millesimo septicentesimo septuagesimo septimo. Fir.to FERDINANDUS IV”. “Regole della Real Congregazione sotto il titolo della SS. Croce e Vergine Addolorata della Terra di Ginosa in Provincia di Otranto e Diocesi di Acerenza e Matera, eretta nella PROPRIA Chiesa dello stesso titolo.
Cap. I) ll fine di questa Congregazione è di attendere con la Divina Grazia e Profitto così del bene spirituale che del temporale secondo le massime evangeliche e quelle di cristiana pietà e rilucere soprattutto in sopportare
le mondane traversie, disgrazie, nella guisa appunto che sofferente il Signore Nostro Gesù Cristo sopportò il greve peso della Santissima Croce. Questo fu il santo fine dei nostri primi fratelli fondatori, loro da Dio ispirati di annodarsi con tale nobil titolo della SS. Croce, per cui dopo, che nell’anno 1708 ottennero dalla Curia Arcivescovile, Ordinaria del luogo, l’Apostolica Benedizione della Cappella, sotto il titolo suddetto, ed anche per quanto si stimò uopo allora l’Apostolico Assenso sopra i punti delle Regole, vollero ancora arricchirla di quelle Indulgenze, Privilegi, Indulti e Prerogative di cui è arricchita l’insigne Arciconfraternita del SS. Crocifisso di Ronza sotto il titolo di S. Marcello, a cui la nostra Congregazione è unita e che a tal uopo se ne ottenne bolla nell’anno 1713, quale munita del Regio Assenso, originalmente fu presente alla detta Arcivescovil Curia in quel tempo residente nella città di Matera e che copie legali esistono presso gli atti del Notar Francesco Nicola Teofilo di Mesagne, in detta Terra di Ginosa”.
Da questo si desume che la costruzione della Cappella avvenne al principio del 1700, tanto che nel 1708 i fondatori del Sodalizio ottennero dalla Curia Arcivescovile l’Apostolica Benedizione della Cappella, composta allora di un solo vano. A suffragare tale circostanza v’è anche e principalmente il fatto che quei fondatori per meglio attendere ai doveri del Sodalizio, credettero opportuno costruirsi la propria Cappella fuori dell’abitato ed attigua alla Chiesa del Convento degli Agostiniani, che in quell’epoca era completamente disabitato e della quale chiesa sarebbe stato facile servirsi.
Si richiama l’attenzione di codesta Rev.ma Curia su quest’altro preciso dato di fatto e cioè che il nuovo Sodalizio poteva benissimo installarsi nella Chiesa degli Agostiniani, tanto più che era abbandonata, come è già detto, mentre preferì costruirsi la propria Chiesa assolutamente indipendente e fuori del paese. Infine va considerato in modo decisivo che nell’intestazione delle regole della Real Congregazione della SS. Croce leggesi: “la Confraternita eretta nella PROPRIA Chiesa”; quel PROPRIA sta ad indicare che la Chiesa era fin dalla costruzione ed e rimasta ininterrottamente di esclusiva della Confraternita, senza che a questa fosse mai contestato tale diritto.
La concessione finalmente giunge il 7 luglio 1936. I lavori proseguono alacremente per l’apertura al culto della nuova parrocchia. Vengono rifinite le nicchie laterali, montato l’altare maggiore, fissate le tele dei dipinti. Tuttavia la folla che accorre per assistere alla prima messa celebrata nella nuova parrocchia si trova davanti agli occhi un edificio rappezzato alla bell’e meglio. Il campanile, che secondo il progetto doveva sorgere su via Palestro, non è stato costruito, e non lo sarà mai; il prospetto della chiesa non è stato ancora innalzato; nella fretta di inaugurare l’opera non c’è stato il tempo di abbattere la chiesa di S. Croce, cosicché si è deciso in maniera al quanto originale di conservare temporaneamente la chiesetta, fondendola col nuovo edificio in modo da renderla il pronao della nuova chiesa; le pareti, dipinti di fresco, sono ancora spoglie di ornamenti; come se ciò non bastasse, il tetto della chiesa fa paura: costruito secondo il progetto originario, è costituito da travi che si uniscono perpendicolarmente alle colonne laterali, dando l’effetto di un capannone industriale; la gente, poco abituata alla nuova tecnica costruttiva, ha paura che quel tetto gli cada sulla testa. Ma a quel punto non erano questi i problemi che avrebbero potuto fermare don Michele Inglese, ormai deciso a inaugurare quanto prima quella che sentiva, a buon diritto, come un’opera sua.
Il 27 settembre 1936 cadeva di domenica e Mons. Pecci benedice la nuova chiesa, dedicata ai SS. Medici; don Michele assiste alla messa, seduto; ormai, a causa della malattia, fatica a muoversi. Tuttavia possiamo immaginare la sua soddisfazione nel vedere finalmente in funzione la chiesa alla quale aveva dedicato vent’anni della sua vita. Quasi come un segno del destino il mandato del parroco don Michele Inglese ha inizio, coi primi progetti della nuova parrocchia e si conclude all’indomani della benedizione. A meno di un mese da quella prima messa, il 21 ottobre, don Michele viene a mancare. Nel frattempo, tuttavia, il suo sogno si era realizzato.
TESTO IN ITALIANO DEL DECRETO DI PROCLAMAZIONE
DEI SS. MEDICI A PATRONI DI GINOSA
La fervente e vivida devozione e il sentimento religioso verso Santi Cosma e Damiano, fratelli medici, è eminente tra i fedeli abitanti della città detta comunemente Ginosa, situata tra i confini delle Arcidiocesi del Bruzzio (antico nome della Puglia) e di Matera.
Poiché in verità i cittadini su menzionati non hanno un celeste intercessore presso Dio, hanno pregato premurosamente il Santo Padre nostro Papa Pio XII, affinché si degnasse di confermare con sua suprema autorità proprio i Santi Medici, Patroni di quella cittadina.
E accogliendo volentieri queste preghiere, sostenute dalla raccomandazione del Rev.mo Ordinario e riferite dal sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione dei Sacri Riti, Sua Santità si è degnata di confermare i Santi Martiri Cosma e Damiano come principali Patroni celesti presso Dio della località denominata Ginosa, con tutti i privilegi dei beni spettanti ai Patroni. Non essendovi nulla in contrario, si concede.
23 luglio 1948 – Cardinale MICARA, Prefetto della Congregazione dei Sacri Riti, Arcivescovo CARINGI, Segretario.
N. 1958* Regio Decreto del 16 ottobre 1934 n. 1958 (Pubbl. G.U.12-12-1934, n. 291)
Dichiarazione formale dei fini di 39 Confraternite della provincia di Taranto
Ricerche a cura di Silvio De Stena
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